SECONDA VISITA AL MUSEO DI STORIA DELLA FISICA “GIOVANNI POLENI” DI PADOVA

Imuseo fisica padova

Sabato 18 marzo 2023 abbiamo effettuato con gli amici dell’Associazione che non avevano potuto prendere parte alla prima, una seconda visita al Museo Giovanni Poleni – Storia della Fisica tra Padova ed il Mondo, fino all’anno scorso denominato Museo di Storia della Fisica, dell’Università degli Studi di Padova. 

Il Giubileo per gli 800 anni della fondazione dell’Università di Padova.

Queste visite rientrano ancora nella celebrazione del Giubileo degli 800 anni dalla fondazione dello Studio di Padova, avvenuta grazie all’intraprendenza di un gruppetto di studenti provenienti dall’Università di Bologna che a partire dal 1222 diedero vita a nuovi corsi che assunsero presto un grande prestigio, come ad esempio quelli di Giurisprudenza e di Medicina. Gli studenti organizzavano i corsi, stipulavano i contratti con i professori, trovavano gli ambienti dove poter svolgere le lezioni, eleggevano uno di loro al ruolo di Rettore e, soprattutto, godevano di una grande autonomia in un Comune che, rispetto a Bologna, lasciava liberi gli studenti di scegliere gli argomenti da trattare nelle lezioni. La struttura organizzativa nel tempo subì un’evoluzione, per lasciare successivamente al corpo docente la guida della vita dell’Università. Inquadrare la visita anche nello spirito di questa commemorazione è quantomeno suggestivo.

La storia della Fisica a Padova

La didattica e la ricerca in Fisica a Padova si appoggiano su tre pilastri storici.

Galileo Galilei (1564-1642), inventore del metodo scientifico, insegnò Matematica a Padova dal 1592 al 1610 (periodo che egli ricorderà come “li diciotto anni migliori di tutta la mia età”). Il suo arrivo a Padova diede vita a un grandissimo afflusso di studenti – si trattava davvero di una superstar dell’epoca – tanto che i giuristi gli concessero l’uso della loro Aula di Palazzo del Bo – l’antico albergo che era stato acquistato dall’Università nel 1539 – per poter tenere le sue affollate lezioni: è l’attuale Aula Magna di Giurisprudenza che conserva ancora la rustica cattedra che gli costruirono i suoi studenti.

Il secondo faro della fisica padovana è senza dubbio Giovanni Poleni (1683-1761), patrizio veneziano che insegnò all’università di Padova dal 1715 alla sua morte, che avviò nel 1739 l’insegnamento di Filosofia Sperimentale (allora la Fisica si chiamava così) e fondò contestualmente il Teatro di Filosofia Sperimentale, che allora aveva sede a Palazzo del Bo e la cui evoluzione divenne il museo che abbiamo visitato. Figura poco nota al grande pubblico contemporaneo, Poleni fu invece una personalità di spicco a livello europeo per la fisica dell’epoca e un uomo di cultura, amico e collega di scienziati come il medico Giovanni Battista Morgagni (inventore dell’Anatomia Patologica), il matematico Nikolaus Bernoulli, l’architetto Luigi Vanvitelli e di artisti come il violinista Giuseppe Tartini. A lui si deve la tessitura di rapporti scientifici con le maggiori università europee che durano tuttora come ad esempio quelli che ancora sussistono con l’Università di Leida nell’ambito dello studio della storia della Fisica.

Infine, facendo un salto in avanti di due secoli, Bruno Rossi (1905-1993), fisico nato a Venezia e formatosi all’Università di Bologna, nel 1932 tornò da Firenze a Padova, fondò l’attuale Dipartimento di Fisica Galileo Galilei e diede un originale contributo allo studio delle particelle elementari, prima attraverso lo studio dei raggi cosmici e poi con l’impiego delle macchine acceleratrici. Fece infatti costruire in una sala appositamente progettata nel nuovo Dipartimento un acceleratore di tipo Cockroft-Walton (un moltiplicatore di tensione a diodi e condensatori che molti di noi hanno studiato a scuola o all’università), del quale uno dei grossi diodi a vuoto è esposto al Museo. 

La sua vicenda con l’Università di Padova subì una traumatica interruzione con la sua emigrazione negli USA in seguito alle leggi razziali del 1938. Non metterà mai più piede dentro al Dipartimento, in aperta polemica con i suoi ex colleghi, nemmeno quando tornerà periodicamente in Italia.

A partire dal 1739, Il Teatro fondato da Poleni si arricchì nel corso dei secoli successivi di molti strumenti rari e preziosi, di modelli e di prototipi, e fu il nucleo fondativo dei laboratori di fisica dell’Ottocento. Inizialmente il marchese Poleni collezionava strumenti scientifici per fini didattici, macchine destinate a “dare forza alle proposizioni”. Talvolta ne ordinava anche la costruzione, ricorrendo a costruttori prestigiosi come Philippe Vayringe o l’abate Jean Antoine Nollet. Da questa esigenza accademica, che si sviluppò dalla seconda metà del XVII secolo in tutta Europa, nacquero officine e si specializzò una nuova generazione di costruttori di strumenti scientifici, che producevano apparati che andavano dalle macchine per lo studio dei principi della fisica, agli strumenti per le misurazioni e la progettazione, come compassi, goniometri, astrolabi, pompe da vuoto, termometri e barometri. Tutta una nuova industria (un indotto lo chiameremmo oggi) nacque da questa esigenza accademica.

Il prestigio mondiale ed il contributo alle attività di ricerca del Dipartimento di Fisica di Padova è fuori discussione e si applica in tutti i campi, dalla Fisica Teorica alla Fisica Sperimentale in innumerevoli progetti di collaborazione in tutto il mondo.

 

L’esposizione

La visita parte dal Rinascimento, periodo al quale risalgono gli oggetti più antichi della collezione, che fu l’epoca del sopravvento del sistema Copernicano su quello Tolemaico: in questa sezione troviamo una sfera armillare che riproduce l’universo geocentrico (faccio notare che per ironia della sorte – contrappasso? – ai Musei Vaticani esiste un bellissimo modello di sistema eliocentrico) e l’astrolabio, produzione raffinatissima dell’artigiano belga Gualterus Arsenius – nipote del celebre Reinard Gemma Frisius, matematico dell’Università di Lovanio che collaborò con Gerard Kremer, latinizzato in Mercatore che noi contemporanei dovremmo ricordare perché senza di lui non esisterebbe Google Maps ma nemmeno le carte geografiche moderne). Questi esemplari furono acquistati nell’Ottocento dall’allora curatore del Museo, il prof. Salvatore dal Negro

Si attraversa poi la sala alle macchine cinematiche – vere e proprie macchine didattiche per illustrare agli studenti l’accuratezza dei modelli matematici della fisica, come la macchina per mostrare la traiettoria parabolica della caduta dei gravi, la traiettoria brachistocrona – la curva che viene percorsa nel tempo più breve da un oggetto in caduta –  e la legge della dipendenza delle distanze dal quadrato del tempo con il paraboloide di Truchet, per passare poi alla sala dell’ottica con un modello del telescopio di Galileo – l’originale è a Firenze – o il prezioso microscopio di Eustachio Divini

In una stanza appositamente dedicata troviamo la macchina divulsoria, una macchina per misurare il carico di rottura di barre di ferro che Poleni costruì per il suo progetto di messa in sicurezza della cupola di San Pietro su incarico del Vanvitelli, assieme ad altre macchine per la misura dei carichi di rottura di strutture e funi. 

C’è anche il modellino di battipalo, macchina per conficcare pali in verticale nel terreno, dono a Poleni dell’ingegnere bassanese Bartolomeo Ferracina, che egli utilizzò per ricostruire le fondamenta del ponte di Bassano dopo la sua distruzione avvenuta a causa di una furiosa piena del Brenta (una brentana) del 1748. 

La stanza successiva è la sala delle grandi macchine elettrostatiche e dell’elettromagnetismo, con il pendolo elettromagnetico di Dal Negro – un prototipo di motore elettrico non rotativo ma oscillante -, la pila di Zamboni (un professore di un liceo di Vicenza), costruita nel 1812. Alessandro Volta aveva prodotto la prima corrente continua della storia nel 1800 con la sua pila di dischi di rame e zinco intervallati da una garza imbevuta di acido solforico, ma Zamboni aveva costruito una pila a secco! La pila alimentava i poli di un pendolo elettrodinamico che funzionò per più di cent’anni fino al…. trasloco del museo in via Loredan negli anni Trenta del Novecento, trasloco durante il quale una delle due pile cadde e si spezzò a metà. Nella stessa fila di teche troviamo anche i primi prototipi di telecomunicazioni, come il telefono che servì a far comunicare il Bo con la Specola. 

C’è la Rivoluzione Industriale con un modello di impianto di macinazione del tabacco che prevedeva un regolatore di Watts per stabilizzare la velocità angolare della macine – il primo esempio di retroazione negativa. Purtroppo questo prototipo non fu mai convertito in un impianto funzionante. 

Da qui si transita per la sala della pneumatica, con la pompa da vuoto di Francis Hauksbee e i classici bicchieri di Tantalo, la storia del vuoto – dall’horror vacui di Aristotele al pelago d’aria elementare di Evangelista Torricelli, e poi nelle sale dedicate allo studio dei bagliori nel vuoto che portò a rivoluzionare il modello di struttura della materia dalla fine del XIX secolo. Notevoli le lastre fotografiche prodotte dal prof. Giuseppe Vicentini – altro fisico curatore del museo a fine Ottocento –  che portano impresse le radiografie che fece delle mani dei suoi collaboratori per mostrarne le enormi potenzialità diagnostiche agli studenti di Medicina – a pochi giorni dalla scoperta dei raggi di X da parte di Wilhelm Conrad Röntgen nel 1895. 

La visita si conclude con la sala della Fisica delle particelle elementari inaugurata a partire dagli anni Trenta del Novecento con il contatore di coincidenze ideato da Rossi, il primo esempio di porta logica AND, dalla camera a bolle costruita per il CERN di Ginevra e utilizzata lì nei primi anni Cinquanta, agli attuali detector a lamina di silicio tuttora utilizzati negli esperimenti ATLAS e CMS presso l’acceleratore LHC del CERN.

L’ultimo pezzo prezioso è una lavagna in ardesia in cui erano scritte formule più o meno a caso fino al 31 gennaio 2023, data dopo la quale è stata coperta con una pannello di plexiglas per conservare le equazioni e l’autografo del prof. Giorgio Parisi, Nobel per la Fisica nel 2022, che in quel giorno ha tenuto al Dipartimento Galilei un Colloquium dal titolo Multipla Equilibra e ha fatto poi una visita al Museo Poleni.

La catalogazione

La collezione, inizialmente ospitata a Palazzo del Bo, fu traslata nella nuova sede accanto al nuovissimo Dipartimento di Fisica. A partire dagli anni Sessanta del Novecento, il professor Gian Antonio Salandin avviò la catalogazione e la collocazione nell’esposizione di via Loredan di parte degli oggetti della collezione, attraverso i quali possiamo ripercorrere tutta l’evoluzione della Fisica. 

La curatrice attuale del Museo Poleni è la dott.ssa Sofia Talas che con passione e competenza porta avanti il ciclopico lavoro di catalogazione degli articoli del museo. Infatti l’esposizione ospita solo una piccola parte (499 pezzi) del materiale che risiede in parte nei magazzini del Dipartimento di Fisica e in parte presso i licei Tito Livio e Ippolito Nievo di Padova, al Liceo Foscarini di Venezia e altre scuole del Veneto. Il Museo ospita visite guidate e sessioni di laboratorio di Fisica con strumenti d’epoca per gli studenti di tutte le scuole d’Italia.

Ulteriori informazioni di possono trovare sul sito del Museo (https://www.musei.unipd.it/it/fisica). Si trovano anche molti video formativi su Youtube realizzati dalla dottoressa Talas e dai suoi collaboratori.

Marco Barbato